La Sezione A.N.P.I. di Ivrea, continua la sua attività offrendo occasioni di dialogo e riflessione su vari aspetti della memoria e della cultura politica, sociale, civile (*). E’ un impegno che ci eravamo assunto nei difficili mesi precedenti, e che già si erano concretizzati in vari incontri con il professor Di Giorgi ed il sottoscritto sul dialogo, ancora con Di Giorgi (“Lettera da Mauthausen e altri scritti sulla Shoah”), col sociologo Alessandro Casiccia sulle conseguenze del neoliberalismo, con lo scrittore-regista Vasken Berberian sul genocidio degli Armeni, col giornalista Murat Cinar sui fatti di Turchia, per non parlare che degli ultimi in ordine di tempo. Appena sarà in Italia parleremo poi con un giornalista siriano.
(*) Gli incontri sono stati organizzati grazie al supporto di amici Insegnanti delle Scuole cittadine, tra cui i professori Bruna Mino (per Vasken Berberian), Giovanni Savegnago (per Murat Cinar) e naturalmente Franco Di Giorgi del Comitato di Sezione dell’Anpi (per gli altri), che ringraziamo.
Ora siamo lieti di annunciarvi un nuovo evento: il filosofo Livio Bottani ci intratterrà su un tema dai difficili risvolti… “Da signore della tecnica, l’uomo ne è diventato dialetticamente il servo”, afferma. “La sua arroganza lo aveva portato un tempo a credersi misura di tutte le cose. Ora sono le cose, i prodotti tecnologici e industriali, a esser misura dell’uomo”. Come vedete, un tema assai affascinante e contemporaneo, che il professor Di Giorgi illustra nella scheda qui sotto.
Evento VENERDÌ 16 DICEMBRE, ORE 18 presso la SEDE A.N.P.I. in VIA DORA BALTEA 1
LIVIO BOTTANI
Il compito della filosofia nel nostro mondo contemporaneo è di dover dire addio alla cultura
Livio Bottani è un filosofo torinese. Ha insegnato Estetica all’Università di Vercelli dal 1985 al 2015. Tra i suoi lavori Addio alla cultura (2014), Identità e narrazione del Sé (2011), Il tragico, l’umoristico, il grottesco (2009), Recita dell’identità e destini della restanza (2009), Il tragico e la filosofia (2008), Cultura e restanza (2004), Differire la morte (1997), La ferita mortale e il perdono (1996), Estetica e metafisica (1994), Stupore e orrore (1993), La malinconia e il fondamento assente (1992).
«La nostra epoca – dice Bottani nell’introduzione al suo ultimo lavoro – sembra segnare un addio alla cultura, a tutto ciò che pareva aver rappresentato e rappresentare ai nostri occhi lo sbocco di un percorso evolutivo durato tre miliardi e mezzo di anni che aveva portato fino a noi, a creature che si sono sempre intese favorite rispetto a tutte le altre, coronamento glorioso di una storia accidentata all’inverosimile ma prestabilita fin dall’inizio». Un addio alla cultura che si estende ovviamente anche all’uomo, che ne è l’artefice. Giacché nel nostro mondo l’artificialità culturale ha surrogato la naturalità dell’essere umano; l’antroposfera è stata sostituita dalla tecnosfera; e, come sostengono Adorno e Horkheimer, come pure Heidegger e Anders, da signore della tecnica, l’uomo ne è diventato dialetticamente il servo. L’Apparato o il mega-Apparato tecnico è diventato il vero Soggetto della storia, e l’uomo è solo il soggetto assoggettato all’Apparato. «La sua arroganza – la hýbris dell’uomo – lo aveva portato un tempo – scrive Bottani –, nelle origini del pensiero filosofico occidentale, a credersi misura di tutte le cose. Ora sono le cose, i prodotti tecnologici e industriali, a esser misura dell’uomo (..). L’uomo è antiquato, permanentemente in ritardo rispetto al mondo dei suoi prodotti». Se è così, allora anche la sua memoria vacilla e per questo si affida a quella della macchina. Ma dire “antiquato” implica ancora una possibilità di rinnovamento. Il fatto è che invece, come sottolinea nei suoi saggi Bottani, riprendendo le tesi tragiche di Bauman, viviamo in un mondo in cui gli esseri umani sono diventati “vite di scarto”, esubero, spazzatura. L’uomo, dice Günther Anders, è «destinato alla discarca della storia». «Ove Auschwitz – continua Bottani sviluppando alcune tesi di Beckett – ha “dimostrato irrefutabilmente il fallimento della cultura”, il dominio della tecnica potrebbe essere impietoso nei confronti dell’estinzione finale della cultura stessa, così come la natura è impietosa nei confronti dell’estinzione di milioni di specie viventi, di individui umani e di intere civiltà».
(per l’Anpi – Franco Di Giorgi)